Revival degli stili storici a Trieste tra ‘800 e ‘900

DSCN0857Con la severa condanna dello stile neoclassico portata con impeto da Pietro Selvatico nel suo “Dell’architettura e della scultura in Venezia” (1847) e di seguito nei lavori successivi e nelle lezioni presso l’Accademia di Venezia di cui era docente, si apriva la stagione del revival eclettico in cui, a sentimenti filoitaliani e antiaustriaci, si legavano atteggiamenti più genericamente nazionalistici propri del Romanticismo. Tale definizione, vera solo in parte, portò però a Trieste, soprattutto negli eredi diretti del pensiero di Selvatico (su tutti gli architetti Giovanni Berlam e Giovanni Scalmanini), ad una proposta ed una ricezione dello stile fortemente diversificata. Infatti, accanto al lombardesco, non mancarono di farsi sentire echi neo gotici, veneziani e ispirazioni neorinascimentali. Quindi se è stata forte, a Trieste in special modo, la tentazione di legare il movimento eclettico con l’irredentismo, con picchi ideologici clamorosi quali la condanna dello stile Liberty di Silvio Benco (1910) a favore di un’architettura “italiana”, è altrettanto palese che l’Eclettismo, nella sua accezione più libera, fu Lo Stile della città tutta.

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Basti ricordare infatti che la famiglia Sartorio, in un intervento in anticipo sui tempi, primo caso a Trieste, volle dotare la propria dimora, sul finire degli anni Quaranta dell’Ottocento, di una stanza neogotica che riecheggiava il Gothic revival anglosassone, e che Massimiliano d’Asburgo fu uno dei più colti e raffinati interpreti dell’eclettismo locale tanto nelle scelte architettoniche quanto in quelle legate alla sua collezione privata di oggetti d’arte. Quindi, accanto a momenti indubbiamente legati alla sorte contesa della città, l’eclettismo fu lo stile che incarnò lo spirito della Trieste post 1850, dai ricchi commercianti serbi (Palazzo Gopcevich) a quelli greci (Palazzo Economo), dalla comunità ebraica (la colossale Sinagoga dei Berlam) alla chiesa evangelica di Largo Panfili dello Zimmermann fino alle espressioni della città industriale (la fabbrica della Dreher, la Stock, la Risiera), per passare anche attraverso Palazzo Kalister e l’Arsenale del Lloyd (progettato dal danese Hansen sul modello di quello viennese).

E proprio i grandi nomi della Trieste nobiliare e borghese dell’Ottocento interpretarono al meglio questa versatilità e pluralità di scelte stilistiche, a partire dalla stanza neo-gotica dei Sartorio, passando per le fascinazioni di gusto francese e neorinascimentale volute da Pasquale Revoltella per il suo palazzo cittadino sino a giungere a Massimiliano d’Asburgo con il Rundbogen scelto per il  castello di Miramare. Senza dimenticare, sullo sfondo, le fascinazioni orientali ricevute in Turchia da Massimiliano durante il  suo primo viaggio e riproposte nella prima dimora triestina, la scomparsa Villa Lazarovich, la presenza di Hitzig nella progettazione del Ferdinandeo e il variegato complesso voluto dal commerciante e botanico veneto Nicola Bottacin con tanto di chalet svizzero memore del Maxing di Massimiliano presso Vienna e dello chalet di proprietà Revoltella nel parco omonimo che circondava la residenza estiva del ricco borghese triestino.

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Unitamente alle molteplici scelte della ricca borghesia locale andrebbe analizzato anche un altro aspetto, cioè il forte richiamo che il prepotente sviluppo urbanistico della città ebbe sugli architetti foresti che, spesso affiancati nella progettazione dai professionisti locali che potevano vantare il diritto di firma sui progetti in quanto figli del regno austroungarico, furono tra i protagonisti del movimento (si ricordino nuovamente l’architetto danese Christian Hansen, cui si deve il progetto dell’Arsenale del Lloyd oppure Karl Junker per il Castello di Miramare e per l’Acquedotto di Aurisina e ancora Friedrich Hitzig per il Palazzo Revoltella e Wilhelm von Flattich, progettista della Stazione triestina), in una circolazione di idee e sentimenti unica per il periodo che dilatò i già ampi confini dell’Eclettismo.

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Accanto alle testimonianze architettoniche non va poi dimenticata l’attività plastica e scultorea in cui si inseriscono prepotentemente alcuni lavori degli scultori più noti in città, da Giovanni Mayer a Gianni Marin (autore della Fontana dei Leoni del Palazzo della RAS, vero manifesto eclettico con l’uso di materiali diversi e una spiccata pluricromaticità), sino a giungere al cantiere di Palazzo Artelli, unicum del porto degli Asburgo, in cui un manipolo di artisti (i pittori triestini Carlo Wostry e Pietro Lucano e lo scultore Romeo Rathmann su tutti) diede vita ad uno degli esempi più clamorosi, anche se non sempre lucido, di decorazione profana d’interni a Trieste.

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In campo pittorico, di fianco alle scelte neotiepolesche di fine secolo legate alla pittura di Eugenio Scomparini e dei suoi allievi quali Antonio Lonza (anch’egli presente a Palazzo Artelli con alcune visioni legate al mondo cortese), la fanno da padrone, soprattutto a ridosso di metà secolo, la pittura Orientalista, dettata dalla curiosità verso l’Oriente riletto però attraverso i canoni espressivi europei e la passione per la pittura di storia: principi dei due generi saranno, da una parte, il bellunese Ippolito Caffi, il veneto Natale Schiavoni e il belga Portaels, mentre dall’altra si distinguerà principalmente la figura del piranese Cesare Dell’Acqua. Sullo sfondo resterà sempre ben distinta l’influenza di un gigante della pittura austriaca quale fu Hans Makart che, oltre a dettare legge nella capitale, influenzò il primo Scomparini sopratutto per quanto riguarda i dipinti realizzati per la decorazione di teatri, attività prediletta nella carriera del pittore triestino

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Fen27veronese022omeno spesso controverso, marchiato da toni e confini indefiniti rispetto al Neoclassicismo e al Liberty, ove le linee guida e le forti cesure erano ben identificate, l’Eclettismo rivestì per Trieste una fondamentale importanza che culminò con uno dei momenti di massima esplosione commerciale e crescita urbanistica e che caratterizzò la città ben oltre quello che si possa pensare, costringendo perlomeno a rivalutare la portata del movimento rispetto alla più conclamata Trieste neoclassica o rispetto ai raffinati palazzi Liberty della città di inizio Novecento. Per dirla infine con Fulvio Caputo: ” Nella nuova città nata e cresciuta attraverso la ricerca dell’identità fondata su di un comune linguaggio si annunciava l’avvento dei molti linguaggi e la scoperta dell’alterità”

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